CARATTERISTICHE STRUTTURALI
DELL'OFFICINA
CENTRALE DI MANUTENZIONE
(IL CAPANNONE
NERVI)
Testo di Clara Bertolini
Un'immagine
della navata interna del Capannone.
Premessa
Nell'illustrare
quest'opera - forse minore e sicuramente meno nota rispetto alle grandi realizzazioni
del Maestro italiano dell'«architettura del calcestruzzo» - non si può non ricordare,
sia pur sinteticamente, il fondamentale contributo all'evoluzione della tecnologia
del cemento armato che è legato al nome di Pier Luigi Nervi. Ciò anche in considerazione
del fatto che i suoi progetti, dai più impegnativi ai minori, fin anche a quelli
non realizzati, sono informai ad una rigorosa analisi di tutte le modalità costruttive.
Nervi infatti rifiutava di considerare il disegno architettonico come un disegno
non trasformabile in realtà costruttiva, magari ricorrendo alla tecnica più
avanzata, ma in ogni caso con modalità esecutive possibili e con ragionevoli
limiti di spesa.
Già le prime realizzazioni, che lo fanno conoscere in tutta
Italia e poi in campo internazionale, pur nascendo dallo studio approfondito
di soluzioni con modalità costruttive improntate alla massima economia, come
lo Stadio Comunale di Firenze (1930-32), le aviorimesse di Orbetello (1935-36),
per citare solo alcune tra le più conosciute, richiamano quella forte carica
di espressivismo strutturale che contraddistinguerà tutta a sua opera.
Vale
qui la pena ricordare che la grande espressività architettonica insita nel «nuovo
materiale», il cemento armato, - dopo gli indiscutibili acuti della infanzia
- tornava ad emergere, all'inizio del secolo e negli anni '20, soltanto in opere
ad alta carica strutturale adeguatamente valorizzata.
Si verificava cioè
un singolare processo: quelle spere che - come i ponti, i viadotti, i capannoni
industriali - erano in genere considerate come «neutrali» dal punto di vista
architettonico, coperte insomma da una immunità tecnica che le privava di personalità
architettonica confinandole nel grigiore e nell'anonimato, venivano a costituire
le «nuove frontiere» dell'architettura del cemento armato.
Ciò si verificò
quando i capolavori del grande pioniere Maillart e successivamente, a partire
dagli anni trenta, del maestro Torroja ed infine - per quasi quaranta anni a
partire dal 1932 - di Nervi, scossero gli animi aprendo la strada di quell'espressionismo
strutturale divenuto poi grosso patrimonio architettonico. Su questi Maestri
tanto si è scritto che qualsiasi ulteriore commento può apparire superfluo.
Peraltro, dato che la presente memoria è indirizzata all'analisi di una realizzazione,
che rientra in tale patrimonio, mi sia lecito ancora ricordare due cose.
La
prima è che Pier Luigi Nervi, oltre che progettista, era un «building contractor»
forzatamente vincolatissimo - in taluni periodi di durissima concorrenza - alla
soluzione più economica per il cliente e più intelligente, tenuto conto degli
esigui margini di guadagno dell'impresario. Da questi vincoli egli ha saputo
trarre lo spirito per fare una personalissima espressione architettonica del
materiale calcestruzzo, connotando gli aspetti costruttivi delle sue invenzioni
strutturali.
Nelle sue opere, in effetti, l'impianto statico di insieme è
volutamente semplice ed in genere decisamente classico, entro le leggi dell'armonia
e della simmetria: tutta l'invenzione risiede nella scomposizione della struttura
in un giunco sapiente di elementi prefabbricati e quindi assemblati in opera
in uno schema che ricostruisce ineccepibile continuità in un quadro di logica
luminosa.
Nello Stadio Comunale di Firenze e nelle aviorimesse di Orbetello,
Nervi fa largo impiego di strutture in cemento armato lasciato a faccia vista:
una scelta questa che acquista particolare rilievo se soltanto si pensa alle
consuetudini costruttive dell'epoca, ben documentate sui capitolati d'appalto
delle opere pubbliche, che prevedevano il sistematico impiego di intonaco di
cemento sulle superfici esterne dei getti di calcestruzzo.
L'impiego dell'intonaco
era del resto giustificato dalla qualità media dei calcestruzzi ottenibili all'epoca
con le ordinarie attrezzature di cantiere. Le stesse opere di carpenteria in
legno si adeguavano alla logica del miglior risultato economico: per cui poteva
riuscire più conveniente una esecuzione non molto accurata dei casseri e dei
getti, salvo prevedere la intonacatura delle superfici esterne.
Come costruttore,
Nervi fu il primo ad intuire che le soluzioni di massima economia si sarebbero
piuttosto ottenute puntando sul miglioramento delle superfici esterne dei getti.
E come progettista fu certamente il primo ad intuire che questa scelta avrebbe
anche conferito maggiore dignità architettonica al cemento armato, anche negli
edifici residenziali di ogni tipo. Opera di grande spicco in questo campo può
essere considerato il Palazzo dell'UNESCO a Parigi: edificio che, pur non avendo
ricevuto uniformità di consensi da parte della critica ufficiale, costituisce
tuttavia uno dei riferimenti più autorevoli per datare l'impiego della struttura
in cemento armato «a vista», nell'architettura degli edifici.
E sicuramente
questa assenza di intonaci, questa evidenza «in pelle» delle strutture costituisce
il grosso stimolo all'ideazione di forme nuove che tendono a liberarsi dallo
stretto vincolo della planarità delle superfici.
Particolare
della struttura di copertura: una successione di archi in cemento armato con
tirante metallico
Nervi
infatti pensa alle realizzazioni di superfici geometriche a semplice o doppia
curvatura con lastre laminari nervate secondo le direttrici o le generatrici
(rettilinee): in quest'ultimo caso le ottiene al negativo della cassaforma con
doghe di legno di larghezza variabile da un minimo di 3 ad un massimo di 6/7
cm - con una rotazione graduale attorno all'asse longitudinale, che resta rigorosamente
rettilineo per ognuna delle doghe.
L'esecuzione della cassaforma diviene
un'opera di vera e propria falegnameria di qualità, non necessariamente in contrasto
con i criteri di economia se vi è un numero sufficiente di elementi strutturali
uguali, che consentono molti reimpieghi successivi di una medesima forma. Ma
Nervi fa di più: mette a punto tecniche di cantiere di carattere realmente innovativo
nella tecnologia cementizia utilizzando il ferro-cemento, da lui già introdotto
nella costruzione durante il periodo bellico (anni '42-'44) in sostituzione
del legname, per i casseri di solai nervati con modulo altamente ripetitivo.
Le nervature così possono essere sagomate con assoluta libertà di forma, senza
particolare aggravio economico.
In generale l'impiego di questa nuova tecnica
svincola la forma delle strutture di cemento armato, che seguiva normalmente
la matrice lignea, dai riferimenti geometrici vincolati a linee e profili molto
semplici.
Il cassero in ferro-cemento presenta inoltre, rispetto a quello
di legno, il vantaggio di una eccezionale durabilità.
Anche in questo campo
Nervi anticipa i tempi: il cassero in ferro-cemento segna un singolare e suggestivo
passaggio dalla cassaforma tradizionale di legno a quella metallica, che sarà
ineludibile nell'edilizia a grandi pannelli e nei processi di industrializzazione
dei getti. Ma se le possibilità di reimpiego ed i vantaggi economici del cassero
in ferro-cemento sono confrontabili a quelli del cassero metallico, la possibilità
invece di plasmare le sagome delle membrature strutturali in forme fluide ed
eleganti, offerta dal sistema di Nervi, trova riscontro solamente con i recentissimi
casseri in resine poliestere.
Le Officine meccaniche del'ATM e le opere di Nervi in Torino negli anni '50
Uno tra
i più accreditati lavori di analisi e classicazione delle opere di Pier Luigi
Nervi, realizzate nel lungo periodo che inizia intorno agli inni '30 e si conclude
- al cessare della sua attività - negli anni '70, colloca il deposito tranviario
torinese tra le opere «minori» del progettista. Ciò deriva dal criterio di classificazione
adottato, dove i parametri di confronto sono essenzialmente quelli tesi ad evidenziare
la sua duplice posizione di progettista-costruttore, piuttosto he informati
da un giudizio sul valore oggettivo delle opere.
E' una classificazione cioè
che tende a riconocere come maggiori i lavori che riflettono una caratteristica
specifica dell'attività di Nervi: un impegno integrale nel processo che va dall'ideazione
alla costruzione di un edificio, e ne copre l'intero ciclo realizzativo, compresa
l'esecuzione da parte dell'Impresa, di cui era titolare con l'ing. Giovanni
Bertoli.
Il deposito tranviario di Torino non fu interamene realizzato dalla
sua Impresa. Rientra pertanto a quelle costruzioni dove il contributo di Nervi,
anche se molto chiaramente individuabile, si inserisce in quelli di altri costruttori
o altri progettii.
L'opera in esame si colloca in uno dei periodi di grande
creatività e produzione di Nervi proprio a Torino: si pensi ad esempio al Palazzo
delle Esposizioni, Salone B, di sei anni precedente al deposito tranviario,
al salone C- sempre del Palazzo delle Esposizioni - del 1950, allo Stabinento
Lancia del 1953, ed ancora agli Stabiliienti FIAT (1954/55).
Padiglioni progettati
e costruiti da Nervi per il complesso di Torino Esposizioni, oltre a costituire
esempi tra i più luminosi di Architettura Strutturale, illustrati in tutto il
mondo dalle riviste specializzate e non, segnano una tappa di grande importanza
nella Tecnica delle Costruzioni ed in quella della Prefabbricazione Strutturale.
Nel
padiglione B, Nervi sfrutta su vasta scala le possibilità portanti della superficie
sottile corrugata, realizzando una volta di grande luce con l'accostamento sapiente
di elementi prefabbricati a sezione ondulata di limitato spessore, opportunamente
irrigiditi ed utilizzati anche come elementi di lucernario: un motivo che riprenderà
in molti successivi progetti e costruzioni applicandoli a superfici piane e
a cupola di grande diametro, a volte a semplice e a doppia curvatura.
Nel
padiglione C, di dimensioni relativamente limitate (un «salotto» rispetto al
grande salone), viene ripreso il motivo della volta nervata, a costolature incrociate
che permettono un lavoro statico spaziale con riporto a terra grazie a grandi
arconi di calibrata eleganza e grande personalità strutturale.
Anche in questo
padiglione gli elementi romboidali definiti dalla geometria delle costolature
sono prefabbricati ed assemblati in opera secondo le tecniche già ricordate.
Si può dire in sostanza che proprio qui a Torino le tecniche di prefabbricazione
ed assemblaggio, già sperimentate da Nervi nel periodo prebellico e negli anni
1942-45 sulle strutture in ferrocemento, vengono proposte su scala grandiosa,
con possibilità di applicazione ad ogni tipo di strutture e ad ogni geometria
di volta e di copertura. Per quanto attiene alle strutture tipiche degli stabilimenti
industriali, legati a più rigorose esigenze di funzionalità (si pensi alla richiesta
- sempre presente nei capitolati FIAT - di possibile sospensione di carichi
concentrati in ogni punto delle strutture di copertura), Nervi non può esimersi
dal ricorrere ad ossature portanti correnti per tali tipologie costruttive -
capriate, travi a shed etc. - ma riesce egualmente a proporre soluzioni di forme
e di tecniche di prefabbricazione eleganti e personali.
Sezioni trasversali del capannone. [Da un disegno (1952) dello Studio Nervi, Archivio della Segreteria Tecnica ATM]. |
Caratteristiche architettoniche e strutturali dell'opera
L'intervento
di Nervi per la progettazione e la costruzione dei capannoni del vasto complesso
ATM, sull'area compresa tra via Ricasoli, L.go Dora Siena, C. Tortona, si inquadra
nel «periodo torinese» prima accennato.
Egli assunse l'incarico negli anni
'50, quando le riparazioni, necessariamente sommarie, effettuate nel periodo
bellico e la vetustà di molti edifici imposero all'azienda tranviaria un ampio
programma di ricostruzione e di nuove realizzazioni, come per l'appunto il deposito
tranviario «Tortona» che doveva comprendere fabbricati per il ricovero e la
manutenzione di tram e autobus.
Nel programma di rinnovamento e potenziamento
delle infrastrutture aziendali si presentava prioritaria e urgente la riorganizzazione
dell'Officina Meccanica per la manutenzione del materiale mobile dell'ATM, sull'area
del primitivo impianto.
Erano previsti: interventi di adattamento e ampliamento
di fabbricati preesistenti che - opportunamente attrezzati - dovevano contenere
le lavorazioni meccaniche ed elettromeccaniche (manutenzione dei motori diesel,
dei cambi, di tutte le parti meccaniche degli autobus, etc.), e la nuova costruzione
di un grande salone veicoli; un fabbricato cioè in cui dovevano essere concentrate
tutte le lavorazioni di carrozzeria di tutti i mezzi del parco aziendale.
Del
vasto complesso edilizio del deposito tranviario questa è, forse, l'unica opera
in cui è chiaramente riconoscibile il magistrale intervento di Pier Luigi Nervi
come progettista e costruttore. Il capannone CAR costituisce ancor oggi un modello
di riferimento di moderna officina sia per tipologia e caratteristiche funzionali
delle opere edili e degli impianti, sia per dimensioni e capacità di riunire
in un'unica soluzione le numerose lavorazioni.
Particolare
della volta prefabbricata con nervature degli avancorpi del Capannone.
Costruita
nel 1953 sull'area dell'ex-capannone Moncenisio tangente a via Manin, l'officina
copre una superficie di 9400 mq all'interno della quale vengono svolte tutte
le operazioni di manutenzione delle carrozzerie di tutti i veicoli della rete
urbana.
A questo scopo, l'officina è stata dotata di ragguardevoli mezzi
di sollevamento che consentono la movimentazione delle carrozzerie e quella,
ben più gravosa, dei veicoli completi in assetto di marcia.
La struttura
principale dell'edificio ad ossatura portante scandisce lo spazio interno in
tre navate, due minori di 17,40 m ed una laterale di luce maggiore a 25,40 m.
I pilastri (90 x 40 cm di sezione) portano ad 11 m di altezza robuste travi
per lo scorrimento dei carriponte disposte longitudinalmente, e a 14 m di altezza
offrono appoggio (su base 40 x 40 cm) alla struttura di copertura.
Uno schema
statico estremamente semplice, coerente quindi coi criteri che informano la
progettazione di Nervi: durabilità della costruzione, riduzione dei tempi di
costruzione, economicità, facilità di montaggio e manutenzione. L'edificio,
a pianta rettangolare di dimensioni 72 x 125 m, alto circa 19 m, presenta su
due lati l'involucro caratteristico dell'edilizia industriale dell'epoca: grandi
superfici vetrate scandite dai pilastri dell'ossatura portante, alle quali si
alternano sottili fasce di tamponamenti in muratura.
Per la struttura principale
di copertura, che doveva superare luci libere di notevole ampiezza senza aggravare
le condizioni di carico dei pilastri (peraltro fortemente impegnati dalle travi
di supporto dei carriponte), Nervi non rinuncia a un suo tema preferito, la
forma arcuata, adottando però una tipologia strutturale a spinta eliminata.
A tal fine si avvale di arconi in cemento armato (interasse 8,60 m) a sezione
variabile e a profilo parabolico vincolati a cerniera agli appoggi e con spinta
eliminata da tirante metallico. L'adozione del tirante per l'eliminazione della
spinta delle forme arcuate era uno schema strutturale al quale Nervi era generalmente
restio, come dimostrano le soluzioni adottate per grandi volte, cupole, etc...
Peraltro in questo caso i vincoli imposti dalle esigenze planimetriche e dalla
grande altezza delle imposte degli archi rendevano improponibile un riporto
a terra delle spinte con elementi inclinati opportunamente sagomati, come Nervi
prediligeva. Tuttavia Nervi non rinuncia a conferire un'espressione particolare
ed una spiccata personalità architettonica al complesso della copertura; in
effetti evita quella monotonia di superfici curve che la ricorrenza degli archi
avrebbe potuto suggerire, grazie all'adozione di shed parabolici in volte sottili
(che assolvono funzioni di lucernario) e si riportano sugli arconi principali
con snelle nervature di timpano, coronando il complesso in un motivo movimentato
e leggero al tempo stesso, come difficilmente era dato riscontrare in questo
tipo di edifici.
Questi shed parabolici, di impronta circa 3 x 8,60 m, furono
prefabbricati a terra ed assemblati in opera ed evidentemente suggerirono il
motivo per la copertura dei due avancorpi bassi su via Manin e sul piazzale
interno. Tali avancorpi, che conferiscono notevole movimento alle due facciate,
sono coperti appunto da una aggraziata sequenza di piccoli shed a profilo parabolico
di impronta 2 x 10 m, con nervature inclinate rispetto alle strutture in modo
da definire all'intradosso delle coperture un suggestivo motivo di alternanze
di triangoli isoscele molto slanciati, che danno grande vivacità ad un ambiente
altrimenti monotono. Le soluzioni di copertura sopra esposte, insieme con altre
piccole ma sapienti soluzioni costruttive, se pur non clamorose, caratterizzano
la realizzazione di Nervi, che riesce anche in questo esempio, a conferire all'edificio
una nota architettonica personalissima, intonata a quell'espressivismo strutturale
delle sue opere maggiori.
L'autrice ringrazia il prof. Giulio PIZZETTI per i preziosi consigli.
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